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Il sogno
di una città

Sguardo periferico,

onirico e progettuale

sulla città. Attraversando testi, suoni e mondi ai margini

di Calvino, Rokeya e De Pizan. Un sogno in divenire,

non finito, scaraventato

nel mondo anzitempo.

Una sorprendente utopia,

al femminile.

READING A DUE VOCI PER IMMAGINI E FRASI SONORE

SIMONETTA GIACON ANTONELLA ZANCHI narrazione

URSULA SWOBODA ritratti fotografici femminili delle "città Invisibili"

MARCO L. ZANCHI

video installazione

testo e regia

in collaborazione con

COORDINAMENTO

TEOLOGHE 

ITALIANE

“La mia vita scorre sul crinale dell’incertezza più totale che 

mi è difficile distinguere

immaginario da reale”.

Così si esprime la protagonista di questo reading per due voci narranti, suoni e immagini in video-installazione. Un racconto in prima persona e uno sguardo in soggettiva.

E ancora:”Basta una parola, una soltanto e fare un salto nel buio,

nel vuoto della strada, oltre il silenzio delle finestre chiuse della città.

O nell’uscio sprangato della casa di fronte ed entrare di colpo, in un sogno notturno.

Basta un’immagine, una sola per trovarmi al centro di spazi urbani e stati mentali.

Spazi che condizionano, plasmano chi vive.

Basta un suono, uno solo per vedere l’impercettibile, l’inafferrabile perché solo quando chiudo gli occhi vedo tutto più chiaramente”.

Senza l’invisibile non vedremmo nulla, saremmo completamente al buio.

Vedere suoni, sentire immagini, respirare parole come quando edifici o panorami soppiantano gli esseri umani. E raccontano storie di persone attraverso la loro assenza, o meglio, attraverso la loro presenza al di fuori del tempo, della parola, dell’immagine. Del suono, appunto.

Il sogno di una città mai definita.

Si edifica e si abbatte.

Si annulla e si rifonda.

Si dispera e si incoraggia.

La città narrata è un cantiere gravido di attese.

Un luogo di riflessione, di scambio, di dialogo e d’incontri inaspettati.

“Nei miei antri nascondo l’impresentabile e il virtuoso.

Concedo spazio a chiunque me lo chieda.

Nelle mie arterie scorre ogni genere di vita.

E osservo.

So di voi, so di tutti quanti.

So molto, a dire il vero.

Conosco più storie io di quanti turbini ha la tempesta”.

E osserva. Uno sguardo periferico il suo nel lambire "l'invisibilità" delle città di Calvino; discreto nel percepire “l’onirica visione di Sultana” di Rokeya, progettuale nello sbirciare la De Pizan china sui suoi manoscritti.

Sguardo feriale sull’invisibile urbano.

Una visione alla rovescia per vedere senza essere visti.

Una città che brilla di un senso di ottimismo, come se ci dicesse davvero che,

alla fine, tutto andrà bene.

Una città e il suo volto. Misterioso e profondo, incredulo e fiducioso.

Tra le pieghe di un sogno in divenire, non finito, scaraventato nel mondo anzitempo.

Una sorprendente utopia. Al femminile.

Forse.

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